Gli affreschi di Guido Cadorin all’Hotel Ambasciatori di via Veneto a Roma

Guido Cadorin all’Hotel Ambasciatori. Da sinistra, Olga Sangiorgi, Carla Resinelli, Maria Clerici Bournens, un ambasciatore e Gino Clerici

Il salone dell’Hotel Ambasciatori di via Veneto (oggi Grand Hotel Palace) riporta una magnifica decorazione ad affresco realizzata dal pittore veneziano Guido Cadorin nel 1926. Cadorin apparteneva a una stirpe di artisti provenienti dal Pieve di Cadore e già dal XVI secolo operanti a Venezia: fra di loro scultori, ebanisti, architetti, pittori, fotografi, restauratori. Il padre, Vincenzo, conduceva una bottega con oltre quaranta maestranze, e insegnò le tecniche e i problemi dell’arte ai figli, di cui il pittore fu l’undicesimo. Guido frequentò la bottega di un pittore liberty e la casa di Mariano Fortuny, grazie al quale conobbe l’arte orientale e maturò il suo gusto personale per la decorazione di stoffe, stucchi, vetri e mosaici. Oltre che come decoratore, eccelleva nel genere del ritratto, e il “Ritratto della madre” fu l’opera che nel 1910 gli procurò per la prima volta la fama sperata.

Firma del pittore

Nello stesso anno ricevette il primo in incarico importante, la decorazione con un ciclo di affreschi della chiesa della Visitazione a San Vito al Tagliamento, mentre partecipava alle Biennali presenziando nella saletta dedicata alla bottega di famiglia. Nel 1915 prestò servizio presso il reggimento di San Nicolò al Lido e il capitano Roberto Papini, direttore della Galleria d’arte moderna di Roma, gli commissionò sei tele per la mensa ufficiali. Dopo la prima guerra mondiale, la necessità di ricostruire edifici privati e religiosi lo vide impegnato come decoratore e pittore, e grande successo riscosse il suo lavoro alla villa del conte Papadopoli a Vittorio Veneto, dove i suoi disegni riguardarono i mobili laccati, le sete, il modellato degli stucchi, la stampa su tessuti, la progettazione dei lampadari. Una simile attività lo impegnò nel 1924 la realizzazione della stanza da letto di D’Annunzio al Vittoriale, su incarico del poeta, in seguito alla quale fu poi chiamato, nel 1926, a Roma da Marcello Piacentini, che aveva progettato l’Hotel Ambasciatori, portato a compimento nel 1927.

In primo piano da sinistra, Rina Piacentini e Alberto Cecchi, in secondo piano Margherita e Fiammetta Sarfatti, Mimma Centurini all’estrema destra

In questo luogo Cadorin scandì le superfici  del salone con riquadri in stucco, sulle pareti e sul soffitto, e vi inserì all’interno scene di una festa notturna, con personaggi abbigliati secondo la fascinosa moda del tempo. Il pittore inoltre dispose le scene entro gli spazi di un’architettura dipinta, composta da balaustre, colonne tortili, giardini, fontane e mitrei, memore delle suggestioni architettoniche di Paolo Veronese, ampliando lo spazio reale con una magnifica illusione prospettica. I personaggi, immortalati nel momento delle loro relazioni sociali, si guardano e guardano lo spettatore, rivolgendosi a lui con aria muta: indossano vesti sontuose, che ricordano – in alcuni episodi decorativi – il fascino esercitato sul pittore da Gustav Klimt, ed incarnano le personalità più note del periodo. Fra di essi infatti si possono distinguere Margherita Sarfatti insieme alla figlia Fiammetta, l’architetto Marcello Piacentini insieme alla moglie Matilde Piacentini Festa, Giò Ponti, Felice Carena e la moglie, i proprietari dell’albergo, Gino Clerici, sua moglie Maria Clerici Bournens e sua suocera Antonietta Bournens Seves, Roberto Papini, l’architetto Melchiorre Bega (insieme a cui Cadorin realizzò il salone), il pittore stesso e la moglie Livia.

Da sinistra, Matilde Piacentini Festa, Signora Carena, architetto Bega, signora di spalle, Felice Carena, Signora Fischer

Ventitré anni dopo Fabrizio Clerici, il secondo figlio di Gino Clerici e Maria Bournens, che non compare nell’affresco perché all’epoca era troppo piccolo, tornò in quel salone insieme a Margherita Sarfatti, e nell’occasione ne ricordò la storia, raccontandola in un articolo dal titolo “Rendez-vous agli Ambasciatori“. Clerici rammentò il cantiere di impalcature e barattoli disposti dal pittore al lavoro, i disegni preparatori dei personaggi, la “verità dei caratteri” che rendono l’affresco un documento fedele dei più noti personaggi di quel tempo, e infine cita un aneddoto riguardante la Sarfatti, che volle essere inclusa nel parterre dei partecipanti e costrinse il pittore ad inserirla fra le immagini già presenti, dopo le molte insistenze di lei.

Il salone è un luogo dove andare, dove fermarsi a bere un caffé ed osservare quei personaggi resi immortali da Guido Cadorin, eterni partecipanti a una festa notturna che li vede splendidi nei loro vestiti e nelle pose eleganti, testimoni di un mondo che non c’è più: perché la loro storia non vada dimenticata, e l’opera del pittore riceva l’ammirazione e l’omaggio che merita.

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