Al Maxxi con molte domande e alcune risposte: “Gravity. Immaginare l’universo dopo Einstein”

Al Maxxi con molte domande: l’antenna della sonda Cassini-Huygens e Modello di volo

Si va al Maxxi per pensare e mettersi in discussione, e se ne esce arricchiti e con molte domande in testa. E’ questo l’obiettivo della mostra “Gravity. Immaginare l’universo dopo Einstein“, che ho visto qualche giorno fa. Organizzata in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, l’esposizione è dedicata alla rivoluzione introdotta nel pensiero contemporaneo dalla teoria della relatività di Albert Einstein, pubblicata con un articolo nel 1917.

A cento anni da quel momento, si vuole raccontare gli sviluppi di quella visione e come ancora oggi modifichi e stimoli il nostro modo di pensare, a partire da concetti come lo spaziotempo, il confine, la crisi. Questi sono i titoli delle tre sezioni in cui la mostra si articola,  portando in sala – del tutto oscura, per l’occasione – macchinari scientifici quali interferometri terrestri e spaziali, satelliti in tungsteno, sfere armillari, registrazioni audio di profondità marine per la rilevazione di neutrini, proiezioni di stelle risalenti al nostro passato, opere d’arte frutto del caso e installazioni viventi.

Una sala della mostra

Il visitatore si trova immerso in un locale completamente oscuro, senza punti di riferimento spaziali, ed è sospinto tra un’opera e l’altra secondo un percorso del tutto personale: suo malgrado, interagendo con le opere e gli altri visitatori, partecipa inoltre alle alterazioni dello spazio e del tempo in cui la mostra è allestita. E’ questa alterazione a stimolare la riflessione, spingendo a interrogarsi sui cambiamenti che apportiamo con la nostra presenza nel mondo, e per estensione anche all’interno delle nostre relazioni, in maniera più o meno consapevole. Anche ciò che risulta insignificante, insegna ad esempio l’opera “The Way Things Go” di Peter Fischli e David Weiss, ha conseguenze e produce effetti, generando una concatenazione di avvenimenti. La nostra stessa visione della realtà, potrebbe non essere così “presente” come ci aspettiamo, anzi potremmo osservare qualcosa che è sempre continuamente passato: il video “163,000 Light Years” mostra una ripresa fissa del cielo stellato che non è altro che l’immagine della galassia della Grande Nube di Magellano, distante dalla terra 163.000 anni luce, i cui eventi, avvenuti milioni di anni fa, ci appaiono ora presenti per effetto della velocità della luce.

Sfera armillare, fine XVII secolo

Infine, la prospettiva con cui osserviamo il mondo non è essa stessa stabile, ma in continuo divenire, dipendente dal nostro muoverci nello spazio e nel tempo:  ne è un simbolo magnifico la sfera armillare esposta, risalente alla fine del XVII secolo, composta da cerchi metallici che mostrano le traiettorie dei pianeti osservabili collocandosi al centro di essi. E’ particolare perché qui le posizioni di sole e terra possono invertirsi, e la sfera può spiegare sia il modello copernicano – eliocentrico – sia quello tolemaico – geocentrico, adattandosi allo sviluppo delle teorie scientifiche con invidiabile versatilità.

Rispetto agli assunti esposti, è evidente che il concetto di confine perde completamente la sua assolutezza, e diventa qualcosa di – anch’esso – continuamente relativo. Esso si è spostato in avanti in conseguenza della nostra capacità di avvicinarsi a lui: a partire dal canocchiale di Galileo fino ai telescopi più potenti che oggi studiano lo spazio e ai microscopi che analizzano l’infinitamente piccolo, il progresso scientifico ha consentito di scrutare il mondo con una approssimazione sempre maggiore, superando continuamente i confini prestabiliti. La teoria della fine del nostro universo potrebbe essere il simbolo della labilità di qualunque confine, laddove ipotizza che – in seguito al Big Bang, l’esplosione che ad esso ha dato origine – i corpi celesti si stiano espandendo sempre più nello spazio, allontanandosi gli uni dagli altri – spostando di conseguenza ogni confine!, e registrando un rallentamento progressivo dei movimenti mentre vanno incontro alla prospettiva di una “morte fredda”.

Materia oscura, videoinstallazione interattiva

Al contempo però, il progresso scientifico mostra come i fenomeni cosmici siano sempre più inafferrabili, come testimonia il tema della materia oscura: una materia che sfugge alla nostra capacità di osservazione ma la cui presenza è ipotizzata per giustificare la velocità di rotazione delle stelle. Essa si fa percettibile nella radiazione cosmica di fondo, una sorta di affascinante “eco” del Big Bang, e pervaderebbe lo spazio, della cui massa costituirebbe addirittura l’86%. La precarietà del concetto di confine riguarda anche la distinzione fra arte e scienza, come mostra la videoinstallazione “The Horn Perspective” di Laurent Grasso, che riflette sulla distinzione tra percezione reale e suggestioni artistiche, e sulla complessità dei messaggi provenienti dal cosmo.

Essa propone la registrazione della radiazione cosmica di fondo, il “suono fossile” del Big Bang, come se fosse generata da uno stormo di uccelli in volo, suscitando un effetto disorientante e insieme perturbante.

Galileo Galilei, Dialogo intorno ai due massimi sistemi del mondo, Firenze 1632

Insomma, “Hic sunt leones“, “Qui ci sono i leoni”, la locuzione che sulle carte antiche indicava terre inesplorate, addita oggi luoghi che per fortuna esistono ancora, e che stimolano la mente umana a non fermarsi, a continuare ad esplorare, a studiare, a ricercare senza indugio. Accade così il miracolo della crisi, quel momento propizio in cui la rassicurante visione del mondo e delle cose si sgretola, ed emerge qualcosa di nuovo, parametri e modelli di riferimento più adeguati a comprendere la realtà.

La stessa etimologia della parola, dal verbo greco “krino”, “discerno”, invita a questo momento, per giungere a una sempre positiva occasione di discernimento: come accadde nel 1919, quando una spedizione scientifica guidata da Sir Arthur Eddington individuò la deflessione della luce, ovvero l’incurvatura della luce rispetto alla massa del sole in occasione di una eclissi, prova decisiva della validità della teoria einsteniana. Sempre all’interno della stessa sezione espositiva, una videoinstallazione permette di intuire un passaggio della relatività generale di Einstein riguardante lo spaziotempo: come un tessuto elastico, esso è immaginato deformato da stelle e pianeti, sulla cui superficie curva scivolano i corpi celesti. Si mostra dunque l’influenza esercitata da ciascun visitatore – amplificando l’effetto della sua massa corporea – sul tessuto elastico della materia che lo circonda, evidenziandone il ruolo di partecipe e artefice di una trasformazione continua.

Curvare lo spaziotempo, videoinstallazione

Infine il video “The Great Silence” di Allora&Calzadilla spinge a riflettere sull’ambizione dell’uomo di scoprire e conoscere realtà lontane anni luce, e sulla sua incapacità di comunicare con le specie che invece appartengono al suo mondo, simboleggiate da un pappagallo.

Questi i dettagli della mostra:

GRAVITY. IMMAGINARE L’UNIVERSO DOPO EINSTEIN
Maxxi – Galleria 4
02 dicembre 2017 – 29 aprile 2018
a cura di Luigia Lonardelli, Vincenzo Napolano, Andrea Zanini
consulenza scientifica: Giovanni Amelino-Camelia

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