Lorenzo Lotto visse a Bergamo tredici anni, dal 1513 al 1526, lavorando per la committenza locale sia pubblica sia privata e arricchendo la città e la sua provincia di capolavori assoluti. Propongo dunque questo itinerario, ordinato in senso cronologico, alla scoperta delle opere e dei luoghi lotteschi a Bergamo.
La prima importantissima impresa che l’artista realizzò è la Pala Martinengo, che si trova nella chiesa dei santi Bartolomeo e Stefano: fu commissionata dal nobile Alessandro Martinengo Colleoni per farne dono ai Domenicani ed ornare l’altare maggiore della chiesa di santo Stefano, edificio che si trovava presso la porta san Giacomo e che venne distrutto per costruire le mura venete nel 1561. La pala, completata nel 1516 e poi – dopo varie traversie – trasferita nella nuova chiesa dei santi Bartolomeo e Stefano, è la più grande mai dipinta dal Lotto: ha dimensioni imponenti, 528×342 cm, ed è costituita da 25 tavole disposte con venatura orizzontale, incollate e sorrette da un sistema ad incastro.
Rappresenta l’incoronazione della Vergine e la gloria dei santi, con la Madonna seduta su un trono al centro e in braccio il Bambino, circondata da dieci santi disposti a semicerchio. In basso due angioletti cercano di distendere un telo mentre altri due in volo sorreggono la corona di Maria. Il gruppo è disposto all’interno di una grande architettura, all’inizio di una fuga di colonne coperta con volte a botte, mentre al centro si alza il tamburo di una cupola, aperta verso il cielo, dalla quale entra la luce. Una composizione che permette di modulare la luce e il buio, in base alla posizione dei vari personaggi sulla scena e alla disposizione delle colonne sullo sfondo, laddove l’oscurità tende infine a prevalere. La pala era corredata da una predella divisa in tre pannelli raffiguranti san Domenico resuscita Napoleone Orsini, Deposizione di Cristo nel sepolcro e Lapidazione di santo Stefano, oggi custoditi presso l’Accademia Carrara, mentre la cimasa si trova nel Museo di Belle Arti di Budapest. Ognuno dei tre dipinti della predella si distingue per una specifica originalità: la Deposizione per l’intensità dei sentimenti che i personaggi esprimono, la Lapidazione per l’attenzione alle fisionomie e ai dettagli, la Resurrezione per l’animazione della scena.
Il successo di questa opera fu tale da determinare le commissioni successive: nel 1520 Lotto dipinse la Trinità per la chiesa della santissima Trinità. Dopo la distruzione della chiesa, l’opera venne accolta nella parrocchiale di sant’Alessandro della Croce in Pignolo. Oggi si ammira presso il Museo Bernareggi.
Al 1521 risale la pala di san Bernardino, custodita nella chiesa omonima. Fu finanziata dalla confraternita laica dei Disciplinati, a cui appartenevano perlopiù gli artigiani e commercianti che si riunivano nella chiesa di via Pignolo. Anche qui la Madonna e il Bambino sono seduti su un trono, ma si trovano parzialmente in ombra perché collocati sotto un grande telo verde che quattro angeli in volo – rappresentati in arditi scorci – stanno disponendo sopra di loro. Ai lati del trono si trovano quattro santi – Giuseppe, Bernardino da Siena, Giovanni Battista e Antonio Abate – di cui in particolare Bernardino sembra partecipare alla sacra conversazione. Giuseppe e Antonio Abate sono raffigurati in una posa di grande naturalismo, come colti dalla stanchezza dell’età avanzata, appoggiati ai bastoni e con i piedi incrociati: san Giuseppe è un po’ trasandato, ha la manica scucita, mentre sant’Antonio – forse reso sordo dal continuo suonare della campanella – allunga il collo per sentire meglio cosa gli sta suggerendo il Battista, raffigurato mentre indica al vecchio la sacra conversazione in atto. Al centro, sui gradini del trono, un angelo è intento alla scrittura e si volge – come di scatto – ad osservare lo spettatore. Sullo sfondo, parzialmente coperto da un parapetto grigio, si ammira un paesaggio di campagna, mentre il cielo non rivela un’ora precisa: potrebbe essere l’alba o il tramonto.
Altro capolavoro di Lorenzo Lotto a Bergamo è la pala di santo Spirito, realizzata contemporaneamente a quella di san Bernardino, custodita nella chiesa omonima poco distante. La pala si trova nell’ambientazione architettonica originaria, nella quarta cappella di destra, non alterata dai rifacimenti settecenteschi. Anche in questo caso lo sfondo è paesistico, con la Madonna e il Bambino collocati su di un trono al centro della scena. Ai lati quattro santi – Caterina d’Alessandria, Agostino, Sebastiano e Antonio Abate (sempre appoggiato al bastone e con i piedi incrociati) – e sotto san Giovannino che gioca con un agnellino e tiene il cartiglio in cui si legge “[Ec]ce Agnus De[i]”. In questa piccola scena si ravvisa quel senso dell’ironia tipico del Lotto, che raffigura il bambino mentre abbraccia la bestiola con tanta vivacità e forza da strozzargli quasi il belato. Tipicamente lottesco il tappeto a frange che è disposto sul trono, di cui pende un’estremità. Sul cielo al di sopra del trono due putti reggono la corona della Vergine mentre angeli musicanti volano in un turbinìo di colori, e in alto in uno squarcio di nubi appare la colomba dello Spirito.
Negli stessi anni l’artista realizzò il Compianto sul Cristo morto, custodito nella sagrestia della chiesa di sant’Alessandro in Colonna. Si tratta di un’opera di grande suggestione, raro esempio di tempera su tela, realizzato da Lorenzo Lotto a Bergamo tra il 1520 e il 1521 per l’altare della scuola del Corpus Domini e san Giuseppe. La tela, che versa oggi in precarie condizioni, mostra il probabile influsso della cultura figurativa tedesca nella rappresentazione drammatica della scena. Tipicamente lotteschi i due cartigli che si leggono – con difficoltà – in alto e in basso: in particolare il secondo, “Ecce quis patitur / et pro quo”.
Fra il 1521 e il 1523 Lotto dipinse il celebre Ritratto di Lucina Brembati, riconosciuta per il divertito rebus costituito dalle lettere CI – che inscritte al centro della luna formano il nome di Lu-CI-na – e per lo stemma della famiglia inciso su uno degli anelli. La moglie di Leonino Brembati, figura di primo piano nella Bergamo dell’epoca, porta una vistosa “capigliara”, ovvero un’acconciatura di capelli veri e posticci racconti da una reticella, decorata con nastri e gioielli a formare un turbante sulla testa. Il ciondolo dorato a forma di uncino che esibisce sul petto è probabilmente un arnese per la pulizia dei denti.
Il ritratto è custodito presso l’Accademia Carrara insieme alla predella della Pala Martinengo e al dipinto delle Nozze mistiche di santa Caterina d’Alessandria, con il committente Niccolò Bonghi. La tela, risalente al 1523, era stata commissionata da Niccolò Bonghi, proprietario della casa nei pressi della chiesa di san Michele al Pozzo Bianco presso la quale l’artista abitava. Vi si ammira lo sposalizio mistico di santa Caterina con Gesù Bambino. La peculiarità lottesca della scena deriva dall’originale collocazione del committente, che si trova a fianco della Madonna, nella posizione generalmente occupata da san Giuseppe. Sono indimenticabili i vestiti di Maria e della santa, abiti opulenti e dai colori squillanti, e splendido è il gioco delle mani fra il Bambino e Caterina. Alle spalle del gruppo si nota una superficie grigia, che sostituisce la rappresentazione originaria, forse un paesaggio con il monte Sinai.
Nel 1524 Lorenzo Lotto ricevette l’incarico di disegnare le tarsie del coro della basilica di Santa Maria Maggiore, realizzando non solo il disegno di 34 episodi biblici – commissionati dal teologo fra’ Girolamo Terzi – ma anche quello di 36 coperti, che avrebbero dovuto preservare le tarsie e annunciarne il contenuto per mezzo di immagini metaforiche e invenzioni simboliche. Il coro fu intarsiato da Gianfrancesco Capoferri e dalla sua scuola, impresa imponente che si concluse, dopo alterne vicende, nel 1574, con il completamento della parte semicircolare dell’abside, inizialmente non prevista.
Le quattro tarsie dell’iconostasi sono un autentico capolavoro, dono imperituro della presenza di Lorenzo Lotto a Bergamo: rappresentano il Passaggio del mar Rosso e il Diluvio universale (quelle di sinistra), Giuditta e Oloferne e Davide e Golia (a destra), e si ammirano solo la domenica e in occasione delle feste religiose (perché altrimenti sono protette dai rispettivi coperti). In questo recinto sacro, che separa la navata dal presbiterio, vengono raffigurate le azioni di quattro protagonisti della storia biblica, Mosè, Noè, Giuditta e Davide, effigiati mentre liberano il popolo d’Israele e ne consentono la redenzione: una rappresentazione tanto più significativa negli anni difficili che seguono alla riforma luterana, quando le coscienze cristiane vennero scosse dalle tesi affisse a Wittenberg. Nel Passaggio del mar Rosso si osserva l’esercito del faraone travolto dalle acque, mentre a destra il popolo eletto sale su un promontorio guadagnando la salvezza: Mosé, affiancato da Aronne, stende il suo braccio a determinare la morte degli egiziani, mentre dietro a lui la sorella canta un inno di ringraziamento a Dio accompagnata da giovani con cembali e timpani.
Nel Diluvio universale si mostra a destra l’arca, sulla quale coppie di animali si apprestano a salire insieme alla famiglia del patriarca, con Noè raffigurato al centro – in uno scorcio estremo – mentre, in ginocchio, è rivolto a Dio che appare tra nuvole minacciose. A sinistra già infuriano le acque, che stanno sommergendo anche coloro che, inutilmente, cercano di mettersi in salvo aggrappandosi all’arca già avvolta dai flutti. Nella tarsia di Giuditta ed Oloferne si mostra l’eroina di Betulia – già uscita dalla tenda del condottiero – mentre ne depone la testa decapitata in un sacco, aiutata dall’ancella che si volge inorridita. A sinistra si osserva una veduta di Bergamo, nuova Betulia, assediata dalle truppe di Nabucodonosor, una rappresentazione che si inserisce nella drammatica cronaca del tempo: il cartone della tarsia venne infatti consegnato dal Lotto nel luglio 1527, due mesi dopo i tremendi fatti del Sacco di Roma, quando la città eterna venne devastata dall’orda dei lanzichenecchi. A destra sono raffigurate le truppe assiro-babilonesi allo sbando, con tre soldati che urinano e defecano in vista della città.
La vicenda di Davide e Golia è rappresentata in sette sequenze all’interno della tarsia, come in un cartone animato, con Davide raffigurato sempre con la bisaccia a tracolla: in alto salva il suo gregge da un leone e da un lupo (segno premonitore del suo destino); poi è convocato a corte da un messo reale (vestito come un corriere delle poste, all’epoca appena costituite a Bergamo); al centro entra nella sala del trono, ma rifiuta le armi offertegli dal re. Quindi la rappresentazione si sposta in primo piano, con Davide che tende la fionda: il colpo parte e tramortisce Golia, che cade a terra ed è subito decapitato dal ragazzo, a fronte dello sbigottimento degli astanti. Davide con la testa in mano si avvia verso le porte della città e fanciulle in festa gli corrono incontro; rientra infine nella sala del trono – passando da una porticina laterale – per consegnare il trofeo.
I quattro coperti delle tarsie dell’iconostasi sono anch’essi capolavori, ricorrendo a immagini enigmatiche e bizzarre per attirare l’attenzione dell’osservatore e anticipare il contenuto dell’episodio biblico sottostante: nelle sue invenzioni simboliche Lotto attinge a temi religiosi e archetipi pagani, a concetti spirituali e miti profani, elaborando un sincretismo che congiunge le storie bibliche alle metafore dell’alchimia, le suggestioni della mitologia greco-romana ai concetti della filosofia platonica e alle figure care all’ermetismo.
Le sue immagini stimolano la meditazione intellettuale e spirituale e al contempo evocano il senso di mistero legato alla presenza del divino nel mondo e alla complessità del reale, passibile di molteplici – e anche contrastanti – interpretazioni. Così Lotto spiega la sua creazione (protestando al contempo per il mancato riconoscimento economico delle tarsie dell’iconostasi, pagate come quelle del coro nonostante di dimensioni maggiori): “Circha li disegni de li coperti, sapiate che son cose che non essendo scritte, bisogna che la imaginatione le porti a luce: perciò mai me ne sono venute di vena pur una, et non mi meraviglio de niente perché mal son careciato da voi, anzi svilito et vituperato et menaciato in le vostre lettere. Piacienza. Io ne uscirò, piacendo a Dio, con li andamenti che ho fedelmente fino a qui espressi per debito de l’homo, etiam ultra, per natura mia“. (Lettera ai Reggenti della Misericordia, 10 febbraio 1528). Il coperto del Passaggio mostra un uomo nudo che cavalca un asino, la testa dentro una gabbia e solo un manto gonfio di brezza, mentre tiene in mano uno specchio deformante e un compasso.
Sotto l’asino arde un fuoco, che dovrebbe spronare la bestia, raffigurata tra una maschera strabica e una maschera vuota, una con un cappello da prelato, l’altra con un elmo piumato: si tratta di un’allegoria del potere, quello del faraone d’Egitto, che guarda solo a se stesso e conduce alla rovina. Il coperto del Diluvio effigia in alto una mensola con gli strumenti dell’alchimista, sormontata da un cartiglio con la scritta “restauratio humana”, mentre in basso un’arca con una finestrina aperta galleggia sui flutti del mare e una colomba sopraggiunge portando un ramoscello d’ulivo. Si invoca un rinnovamento interiore di cui il crogiolo dell’alchimista, insieme agli elementi dell’acqua e del fuoco, è simbolo. Il coperto di Giuditta mostra un cartiglio con la scritta “Viduitatis gloria” – riferimento alla condizione vedovile della giovane di Betulia – appeso tra una spada sguainata, simbolo di fortezza, e una testa decapitata, emblema del vizio. Il velo di Giuditta – la mitra, attributo di virtù – svolazza sotto una corona: la tarsia simboleggia dunque il combattimento tra il vizio e la virtù. Il coperto di Davide raffigura al centro una fionda con cinque sassi, incorniciata dall’alloro della vittoria, e al di sotto le armi di Golia – figura del demonio – disposte in disordine. Dal fastigio pendono due tabelle con la scritta “maximi certaminis victoria”, ad evocare la lotta di ogni cristiano contro il demonio, e la vittoria che consiste nella virtù.
Nel 1525 l’artista eseguì gli affreschi con le scene della vita di Maria nella cappella di sinistra della chiesa di san Michele al Pozzo Bianco: si ammirano la Natività della Vergine, la doppia scena della Presentazione al tempio e del Matrimonio con Giuseppe, l’Annunciazione (ai lati della finestra), nella volta Dio padre circondato dai cherubini, nelle vele i simboli degli evangelisti. All’esterno della cappella, sopra l’arco, la Visitazione di Maria ad Elisabetta. Gli affreschi furono realizzati dal Lotto al termine del suo soggiorno a Bergamo, e presentano un linguaggio attento alla realtà quotidiana e un orientamento narrativo. La chiesa di san Michele, la cui esistenza è segnalata già nell’VIII secolo, fu ricostruita fra il XII e il XIII secolo e custodisce affreschi fra i più antichi della città. Nei pressi della chiesa, in una casa di proprietà di Niccolò Borghi, abitò il Lotto durante la sua permanenza a Bergamo.
L’itinerario che qui si conclude potrebbe essere integrato con la visita della cappella Suardi a Trescore Balneario, situata a pochi chilometri dalla città. Il ciclo con le storie di santa Barbara e santa Brigida fu affrescato nel 1524 dal Lotto su incarico del nobile Giovan Battista Suardi, appartenente a un’importante casata bergamasca, all’interno dell’oratorio privato della villa di famiglia. Altre opere lottesche si trovano nella chiesa di santa Maria Assunta di Celana, nella chiesa di san Giorgio di Credaro, nella chiesa dei santi Vincenzo e Alessandro a Ponteranica.
Chi ama Lorenzo Lotto potrebbe inoltre ammirarne le opere nelle Marche, dove il pittore visse prima e dopo il soggiorno a Bergamo: in particolare, i capolavori custoditi nella Pinacoteca Civica di Jesi e presso Villa Colloredo Mels a Recanati, nonché ad Ancona e Macerata e infine nel palazzo apostolico di Loreto, dove nel 1554 il maestro si trasferì – divenuto oblato del santuario mariano – e infine morì, nel più assoluto silenzio, nel 1557.
Informazioni utili sull’itinerario dedicato a Lorenzo Lotto a Bergamo: l’organizzazione della visita richiede una certa preparazione, sia per quanto concerne gli orari di apertura dei vari luoghi, sia perché alcune opere sono ammirabili solo con guida, preventivamente concordata. La visita individuale alle tarsie (dell’iconostasi e del coro) di santa Maria Maggiore è possibile con guida – esterna, o interna della Fondazione Mia – previa prenotazione oppure direttamente in Basilica.
Tutte le informazioni sul sito www.fondazionemia.it. Il Museo Bernareggi è aperto dal martedì al venerdì, mentre il sabato e la domenica è accessibile solo su prenotazione per visite guidate: www.fondazionebernareggi.it. La chiesa di san Bernardino è generalmente chiusa: la pala lottesca si può ammirare solo con guida della Fondazione Bernareggi, previa prenotazione. L’Accademia Carrara è aperta secondo gli orari indicati sul sito www.lacarrara.it. Per le chiese di santo Spirito e sant’Alessandro in Colonna ho fatto riferimento alle indicazioni riportate sul sito del turismo del Comune di Bergamo, www.visitbergamo.net. Per la chiesa dei santi Bartolomeo e Stefano rimando al sito dei padri domenicani domenicani.bg.it. La chiesa di san Michele al Pozzo Bianco infine è aperta dalle 9,00 alle 17,00 (da ottobre ad aprile) e dalle 9,00 alle 18,00 (da maggio a settembre). Durante le celebrazioni non è consentita la visita. Tutti gli orari e le indicazioni che ho fornito sono comunque passibili di modifica, e consiglio in ogni caso di verificarne la validità in concomitanza con la visita programmata.
Altre immagini di Lorenzo Lotto a Bergamo:
La mappa dell’itinerario dedicato a Lorenzo Lotto a Bergamo: