Museo Archeologico Nazionale di Napoli

Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, la storia e i capolavori

A sinistra emblema raffigurante la caducità della vita (c.d. "memento mori"), a destra in alto emblema di Dioskourides con gruppo di musici ambulanti, in basso dettaglio di emblema con festone di fiori e frutta ornato da due maschere tragiche femminili con parrucca a boccoli (proveniente dalla Casa del Fauno). Museo Archeologico di Napoli
A sinistra emblema raffigurante la caducità della vita (c.d. “memento mori”), a destra in alto emblema di Dioskourides con gruppo di musici ambulanti, in basso dettaglio di emblema con festone di fiori e frutta ornato da due maschere tragiche femminili con parrucca a boccoli (proveniente dalla Casa del Fauno)

Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, noto anche con l’acronimo MANN, custodisce capolavori imperdibili e collezioni di arte antica che – per la loro preziosità, ricchezza e vastità – sono uniche al mondo. L’origine e la formazione di queste raccolte è legata a Carlo III Borbone, figlio di Elisabetta – ultima discendente della dinastia Farnese – e Filippo V di Spagna: re di Napoli dal 1734, Carlo promosse la sistematica esplorazione delle città vesuviane di Ercolano, Pompei e Stabia, i cui reperti furono riparati nella Villa Reale di Portici, adibita a Museum Herculanense. Avviò inoltre la costruzione della Villa Reale di Capodimonte, da destinare a sede del Museo Farnesiano, raccogliendovi parte della Collezione Farnesiana e la quadreria.

Il figlio di Carlo, Ferdinando IV, decise di trasferire nell’allora Palazzo degli Studi di Napoli – ristrutturato in primis da Ferdinando Fuga – le opere di Capodimonte e quelle del Museo di Portici. Il Palazzo degli Studi – edificato alla fine del Cinquecento come cavallerizza e poi dal 1616 fino al 1777 sede dell’Università – venne dunque ampliato con la costruzione del primo piano e dell’emiciclo sul lato posteriore, secondo un grandioso progetto che prevedeva anche la realizzazione di un Osservatorio astronomico nel Grande Salone, dove fu infine realizzata solo la grande meridiana. Grazie alla volontà di Ferdinando IV e nonostante le turbolente vicende politiche di quegli anni fu dunque avviata la costituzione del Museo nella sede attuale, inaugurata nel 1816 come Real Museo Borbonico. Concepito come museo universale, ospitava anche laboratori e istituti quali la Real Biblioteca, l’Accademia del Disegno, l’Officina dei Papiri, oltre alla celebre Pinacoteca. Nel 1860 il Museo divenne Nazionale, continuando ad arricchirsi di opere provenienti dal collezionismo privato e di quelle reperite nel corso degli scavi archeologici condotti in Italia meridionale e in Campania. Nel 1957 la Pinacoteca venne infine riportata a Capodimonte e i laboratori furono trasferiti in altre sedi.

Scalone monumentale. Ai lati, statue di Oceano della Collezione Farnese. Museo Archeologico di Napoli
Scalone monumentale. Ai lati, statue di Oceano della Collezione Farnese. Museo Archeologico di Napoli

La visita del Museo Archeologico di Napoli e la scoperta dei suoi capolavori ha avvio nell’atrio monumentale, dove si osservano le sculture provenienti da Ercolano. Da qui si possono raggiungere i quattro piani espositivi (seminterrato, piano terreno, ammezzato e primo piano), dove le raccolte sono organizzate per sezioni tematiche e secondo criteri cronologici. Mi soffermo sulle collezioni e i capolavori a mio avviso imperdibili: le sculture della Collezione Farnese, le gemme, i mosaici, le opere della Villa dei Papiri, le sale dedicate alla Magna Grecia, gli esemplari di pittura vesuviana.

La collezione Farnese – piano terreno
Nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli si ammira la leggendaria collezione Farnese, forse la più grande raccolta di sculture antiche che sia rimasta sostanzialmente intatta fino ad oggi.
Formatasi nel corso di un cinquantennio per volere prima di papa Paolo III Farnese e poi per opera del nipote, il cardinale Alessandro, la collezione era destinata ad ornare la principale residenza a Roma della famiglia, il Palazzo Farnese in Campo de’ Fiori, e altre residenze quali Villa Madama, Villa Farnesina alla Lungara, gli Horti Farnesiani sul Palatino, il Palazzo di Caprarola, il Palazzo di Colorno a Parma. Estintasi la dinastia nel 1731, la collezione venne ereditata da Carlo Borbone, figlio dell’ultima Farnese, Elisabetta. A partire dal 1786 la collezione fu trasferita a Napoli per volere del figlio di Carlo, Ferdinando IV, che aggirò le disposizioni testamentarie del cardinale Alessandro vincolanti le opere al Palazzo Farnese.

Toro Farnese - Giardino
Toro Farnese

Su tutti i capolavori esposti al Museo Archeologico di Napoli spicca senz’altro la “montagna di marmo” nota come “Toro Farnese“, il colossale gruppo scultoreo rappresentante la punizione di Dirce sulle balze del Citerone, portato alla luce nel 1545 nel corso degli scavi condotti presso le terme di Caracalla. Oltre a questo monumentale complesso, rinvenuto nella palestra orientale delle terme, gli scavi recuperarono negli ambienti del frigidarium la scultura dell’Ercole in riposo, riproduzione ingrandita di una scultura bronzea di Lisippo, e il gruppo scultoreo del “Guerriero con fanciullo“, cosiddetto “Achille e Troilo”, rappresentante un guerriero in atto di scagliare un fanciullo morente afferrato per un piede: forse Neottolemo con il corpo di Astianatte, forse Achille con il cadavere di Troilo. Fra le altre sculture vanno segnalati l’Atlante Farnese, forse in origine esposto nella Biblioteca del Foro di Traiano (collocato al primo piano nel Salone della Meridiana) e il gruppo dei Tirannicidi, copie romane del II secolo d.C., rinvenute presso la Villa di Adriano a Tivoli.

Tazza Farnese, I secolo a.C.. Museo Archeologico di Napoli
Tazza Farnese, I secolo a.C.

Le gemme Farnese – piano terreno
Nei locali attigui alla collezione di sculture si ammira l’affascinante raccolta di gemme Farnese, una splendida collezione di glittica custodita presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Fra tutti i pezzi esposti si ammira la celebre Tazza Farnese, capolavoro appartenuto anche a Lorenzo il Magnifico: la coppa, risalente all’epoca ellenistica, fu realizzata in un unico pezzo di onice da maestranze attive alla corte egiziana dei Tolomei. Dopo la conquista dell’Egitto da parte di Ottaviano Augusto, venne trasferita a Roma: da qui a Bisanzio, poi giunse alla corte di Federico II. La sua storia, affascinante, e la descrizione ed interpretazione del suo apparato figurativo, meritano un approfondimento.

La collezione di mosaici – piano ammezzato
La collezione dei mosaici del Museo Archeologico Nazionale di Napoli è una delle più ricche e stupefacenti che io abbia mai visto, una raccolta di piccoli capolavori. E’ composta soprattutto da frammenti di mosaici pavimentali provenienti da Pompei, Ercolano e Stabia. Si ammirano in particolar modo “emblemata“, ovvero quadri figurati – generalmente policromi – posti al centro di un pavimento: diversamente dal resto della decorazione, realizzata sul posto e con tecnica più semplice, gli emblemata erano realizzati in bottega da artigiani specializzati, che creavano una vera e propria “pittura in pietra”. Nel momento del rinvenimento dei pavimenti era uso ritagliare e asportare questi quadri perché ritenuti la parte migliore. Molti emblemata di età romana risalenti al I e II secolo a.C. – tra cui alcuni della collezione del MANN – sono la copia di antiche pitture greche ormai perdute. Accanto a questi mirabili capolavori vi sono alcuni esempi di mosaici parietali, impiegati soprattutto nelle abitazioni vesuviane del I secolo d.C. come decorazione di ambienti termali e ninfei.

Battaglia di Alessandro Magno e Dario III re dei persiani (proveniente dalla Casa del Fauno). A sinistra in alto Alessandro a cavallo, in basso Dario III. Museo Archeologico di Napoli
Battaglia di Alessandro Magno e Dario III re dei persiani (proveniente dalla Casa del Fauno). A sinistra in alto Alessandro a cavallo, in basso Dario III

Su tutte le opere esposte emerge il mosaico con la Battaglia di Alessandro Magno e Dario III, rinvenuto insieme ad altri nella Casa del Fauno a Pompei: eseguito da maestranze alessandrine attive in Italia tra la fine del II e gli inizi del I secolo a.C., raffigura il momento in cui Alessandro si getta contro il carro dei re dei Persiani. Anche questo capolavoro – composto da circa un m