Santo Stefano Rotondo, la navata anulare ed, entro il giro di 22 colonne architravate, l'area centrale con l'altare

Santo Stefano Rotondo, architettura ideale della Roma tardo-antica

La navata anulare di Santo Stefano Rotondo, con gli intercolunni affrescati dal Pomarancio con scene di Martirologio. Al centro il tabernacolo ligneo del 1613
La navata anulare di Santo Stefano Rotondo, con gli intercolunni affrescati dal Pomarancio con scene di Martirologio. Al centro il tabernacolo ligneo del 1613

La chiesa di Santo Stefano Rotondo al Celio a Roma è uno degli edifici più straordinari del periodo tardoantico, per la sua architettura monumentale che riecheggia la tradizione delle basiliche imperiali.

Situata lungo la via Celimontana (l’attuale via di Santo Stefano) che collega il Laterano al Palatino, fu edificata in una zona che in età imperiale era caratterizzata dalle ricche abitazioni delle famiglie aristocratiche. Venne costruita sull’area dell’antica caserma dei Peregrini, i soldati distaccati a Roma dalle province dell’impero, all’interno della quale si trovava un mitreo del II-III secolo d.C.. Forse commissionata alla metà del V secolo d.C. dall’imperatore Maggiorano o Libio Severo – come suggeriscono le sue imponenti dimensioni e la preziosità degli arredi interni – fu consacrata da papa Simplicio I (468-483).

Santo Stefano Rotondo, la navata anulare ed, entro il giro di 22 colonne architravate, l'area centrale con l'altare
Santo Stefano Rotondo, la navata anulare ed, entro il giro di 22 colonne architravate, l’area centrale con l’altare

In origine Santo Stefano Rotondo presentava una forma perfettamente circolare, senza abside e presbiterio, derivante dalla fusione di due tipologie di edificio, a pianta centrale e a croce greca: una planimetria del tutto originale che rievoca le suggestioni di un’architettura ideale. Sono giunti fino ai nostri giorni il vano centrale in cui si trova l’altare e il primo deambulatorio, separati da un giro di 22 colonne ioniche architravate che sostengono il tiburio. Attorno alla prima navata anulare si trovava un ulteriore colonnato ad arcate, che dava accesso a un secondo deambulatorio su cui si innestavano i quattro bracci della croce greca, per un diametro complessivo di 66 metri. Nel corso dei secoli l’edificio subì profonde trasformazioni, riducendosi al solo ambiente centrale e al primo deambulatorio: nel XII secolo infatti fu soppresso l’ambulacro esterno e furono eliminati tre bracci della croce greca (sopravvisse solo quello nord-occidentale, divenuto la cappella dei santi Primo e Feliciano, con annesse la cantoria e la sagrestia).

Il recinto ottagonale con i riquadri affrescati dal Pomarancio e l'altare al centro. Sul pavimento si osservano le tracce dell'antico recinto a forma di "T"
Il recinto ottagonale con i riquadri affrescati dal Pomarancio e l’altare al centro. Sul pavimento si osservano le tracce dell’antico recinto a forma di “T”

Anche l’apparato decorativo originario era sontuoso, ulteriore conferma della committenza imperiale della chiesa, in opus sectile e mosaico sui pavimenti e sulle mura. Le 36 colonne del secondo deambulatorio – ancora visibili nella muratura esterna dell’edificio attuale – e le 22 del vano centrale presentano capitelli tardo-ionici, in gran parte del V secolo d.C., altri di reimpiego. Nel VII secolo furono trasferite nella chiesa le reliquie dei santi Primo e Feliciano per volontà di papa Teodoro I (624-649) e fu creata una nuova cappella dedicata ai santi, con un prezioso mosaico che ancor oggi si ammira nel catino absidale.

A papa Adriano I (772-795) è attribuito il restauro delle coperture, avvenuto nel corso dei grandi cantieri avviati dal pontefice in molteplici chiese di Roma (fra le sue realizzazioni va ricordata la chiesa di Santa Maria in Cosmedin al Foro Boario).

Santo Stefano Rotondo, veduta dal basso della copertura del vano centrale, sorretta dal tiburio e da tre arcate sostenute da colonne in granito con capitelli corinzi
Santo Stefano Rotondo, veduta dal basso della copertura del vano centrale, sorretta dal tiburio e da tre arcate sostenute da colonne in granito con capitelli corinzi

Con papa Innocenzo II (1130-1143) venne abbandonato il deambulacro esterno, del quale si sono salvate la cappella dei santi Primo e Feliciano, il vestibolo e l’area della cappella di santo Stefano d’Ungheria. La chiesa di Santo Stefano Rotondo fu così ridimensionata agli attuali 46 metri di diametro: le arcate che delimitavano il primo e secondo deambulatorio vennero tamponate, nella muratura furono aperte finestre per illuminare l’interno e furono costruite le tre monumentali arcate trasversali sorrette da colonne in granito con capitelli corinzi che ancora oggi sostengono la copertura centrale. In quest’occasione fu edificato anche il portico esterno, a cinque arcate su colonne di granito grigio, che precede il vestibolo e che ancor oggi costituisce l’ingresso alla chiesa.

Alla metà del Quattrocento papa Niccolò V (1447-1455) promosse un vasto restauro dell’edificio affidandone la direzione a Bernardo Rossellino (poi ideatore ed architetto, per Pio II Piccolomini, della piazza “ideale” di Pienza in val d’Orcia): gli interventi di rafforzamento della copertura e delle strutture furono rispettosi dell’architettura originaria e la resero più funzionale, con la realizzazione della sagrestia.

Pomarancio e Matteo da Siena, riquadri del Martirologio
Pomarancio e Matteo da Siena, riquadri del Martirologio

Santo Stefano Rotondo fu quindi affidata ai monaci ungheresi dell’ordine eremita di san Paolo (1454) e in seguito divenne chiesa del Pontificio Collegio Germanico Ungarico (1552). Nel 1580 fu costruito il recinto ottagonale attorno all’altare, dipinto dal Pomarancio (Niccolò Circignani), autore altresì insieme a Matteo da Siena dell’imponente ciclo di affreschi realizzato dal 1582 negli intercolunni della navata anulare raffigurante il Martirologio. Gli affreschi, scanditi in 32 riquadri, erano rivolti ai novizi del Collegio allo scopo di prepararli ai rischi legati all’opera di conversione al cristianesimo. Si racconta che San Filippo Neri vi conducesse gruppi di persone affinché meditassero di fronte a queste scene e che Sisto V contemplandoli s’impressionò a tal punto da commuoversi fino alle lacrime. Nello stesso periodo Antonio Tempesta dipinse gli affreschi nella cappella dei santi Primo e Feliciano.

Cappella dei santi Primo e Feliciano. Alle pareti gli affreschi di Antonio Tempesta
Cappella dei santi Primo e Feliciano. Alle pareti gli affreschi di Antonio Tempesta

Nel corso della visita di Santo Stefano Rotondo, che avviene entrando dal portico esterno e superando il vestibolo, si può ammirare – murato sulla parete sinistra del deambulatorio – un seggio episcopale: si tratta di una sedia romana di spoglio, risalente al I secolo d.C., dalla quale papa Gregorio I (590-604) recitò l’omelia in occasione della sua visita. Una sedia simile si trova nel chiostro di San Giovanni in Laterano. Ancora a sinistra si apre la porta della sagrestia, sormontata da un affresco di Antonio Tempesta raffigurante la “Strage degli Innocenti”.

Quattro grandi arcate sorrette da colonne corinzie introducono quindi alla cappella dei santi Primo e Feliciano, realizzata nel VII secolo per volere di Teodoro I (624-649) per ospitarvi le reliquie dei due santi (deposte sotto l’altare). Insieme alla sagrestia e a una piccola cantoria annessa, la cappella costituisce il braccio restante dei quattro demoliti dell’originaria pianta a croce greca. All’interno si ammirano gli affreschi di Antonio Tempesta con “Scene del martirio” e “Traslazione delle reliquie dei due santi”. Il catino absidale è decorato da un prezioso mosaico che ritrae i due santi ai lati di una croce gemmata sormontata da un clipeo con il busto del Salvatore, realizzato su commissione di Teodoro I.

Cappella dei santi Primo e Feliciano. La calotta absidale con il mosaico raffigurante i santi ai lati di una croce gemmata, sormontata da un clipeo con il busto del Salvatore
Cappella dei santi Primo e Feliciano. La calotta absidale con il mosaico raffigurante i santi ai lati di una croce gemmata, sormontata da un clipeo con il busto del Salvatore

Tornando nel deambulatorio di Santo Stefano Rotondo, sulla sinistra vi è l’affresco della “Madonna dei Sette Dolori”, sempre del Tempesta. Segue quindi la cappella dei santi Stefano d’Ungheria e Paolo I Eremita, costruita nel Quattrocento e decorata nel Settecento. Lungo tutta la navata anulare si susseguono le scene del Martirologio dipinte del Pomarancio e Matteo da Siena nel 1582, raffiguranti con crudezza di particolari le pene e i supplizi subiti dai primi martiri cristiani. Ogni scena è accompagnata in alto da un titolo desunto dai Salmi e corredata in basso da una descrizione bilingue in latino e italiano. Il primo riquadro è quello a fianco della cappella dei santi Stefano e Paolo, raffigurante la “Crocifissione di Gesù” – primo martire – cui seguono i supplizi di Stefano, Pietro e Paolo: l’ultimo riquadro è alla sinistra del vestibolo d’ingresso. Nella stessa area è stato collocato il tabernacolo ligneo del 1613 che un tempo era posto sopra l’altare centrale.

Antonio Tempesta, "La strage degli innocenti" dipinta sopra l'ingresso della sagrestia
Antonio Tempesta, “La strage degli innocenti” dipinta sopra l’ingresso della sagrestia

Al centro della chiesa si trova il recinto ottagonale, risalente al 1580, decorato esternamente con dodici monocromi raffiguranti “Episodi della vita di santo Stefano” e all’interno “I miracoli del santo”, opera sempre del Pomarancio. Di fronte, sul pavimento, si osservano i resti del recinto a forma di T che delimitava lo spazio percorso dal corteo liturgico prima di giungere all’altare.

Informazioni utili: per la visita della chiesa di Santo Stefano Rotondo suggerisco di consultare il sito internet del Pontificio Collegio Germanico Ungarico, all’indirizzo www.cgu.it, contenente tutte le indicazioni utili. Per la redazione di questo articolo mi sono avvalsa di diverse fonti bibliografiche, tra le quali il numero della collana “Roma Sacra” dedicato alla chiesa, a cura di Tullia Carratù.

Suggerimenti: a pochi passi da Santo Stefano Rotondo si trova la basilica dei Santi Quattro Coronati che, edificata su una residenza di età tardoantica, presenta una struttura fortificata risalente al IX secolo. Qui meritano una visita il chiostro, la Stanza del Calendario – testimonianza dell’arte gotica a Roma – e l’oratorio di San Silvestro: decorato nel XIII secolo da maestranze bizantine, presenta un ciclo di affreschi narranti la vita di papa Silvestro I e, in particolare, la Donazione di Costantino e il ritrovamento della Vera Croce.

Scendendo dall’altro versante del colle Celio si trovano le Terme di Caracalla, magnifico complesso realizzato tra il 212 e il 216 d.C. dall’imperatore Caracalla, che ha conservato ancora oggi gran parte delle proprie strutture: i suoi arredi ed elementi architettonici furono trasportati e reimpiegati in molti luoghi fra Roma, Firenze, Napoli e Pisa, raccontando vicissitudini straordinarie.

Altre immagini della chiesa di Santo Stefano Rotondo al Celio:

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