Gian Lorenzo Bernini alla Galleria Borghese

I capolavori di Gian Lorenzo Bernini alla Galleria Borghese a Roma

Gian Lorenzo Bernini, Apollo e Dafne
Gian Lorenzo Bernini, Apollo e Dafne

Alla Galleria Borghese a Roma si conserva il nucleo più importante e spettacolare di marmi di Gian Lorenzo Bernini (Napoli 1598, Roma 1680), in particolare i celeberrimi quattro gruppi scultorei commissionatigli dal cardinale Scipione Borghese e realizzati dal 1618 al 1625: Enea, Anchise e Ascanio, il Ratto di Proserpina, Apollo e Dafne e il David. In questo articolo ne racconto le storie.

Enea, Anchise e Ascanio (Sala 6 della Galleria Borghese, sala di Enea e Anchise)

Enea, Anchise e Ascanio fu il primo gruppo che Bernini scolpì per il cardinale Scipione Borghese. Realizzato tra il 1618 al 1619 dall’artista appena ventenne, raffigura Enea che fugge da Troia in fiamme portando sulle spalle il vecchio padre Anchise, mentre il figlioletto Ascanio lo segue dietro alle gambe.

Enea, Anchise e Ascanio, particolare
Enea, Anchise e Ascanio, particolare

L’episodio è descritto nel II libro dell’Eneide di Virgilio, laddove Enea si rivolge ad Anchise dicendo: “Su via, caro padre, mettiti al nostro collo; / io mi sottoporrò con le spalle né questa fatica mi peserà; / Comunque accadranno le cose, uno e comune il pericolo, / unica salvezza ci sarà per entrambi. Mi sia compagno il piccolo / Iulo, e dietro la sposa segua le orme. / […] Tu, padre, prendi in mano le cose sacre ed i patrii penati; / è sacrilegio che io uscito da sì grande guerra e strage / recente li tocchi, finché con fiume vivo mi sarò lavato”.

Il soggetto, allusivo alla fondazione di Roma, permette anche di celebrare il committente Scipione Borghese, il cui nome in latino – “scipio” – significa “il bastone al quale ci si appoggia”: l’opera si riferisce dunque anche al ruolo politico svolto dal cardinale, nipote di papa Paolo V, nel governo della Chiesa.

Nel gruppo il Bernini raffigura, nello sviluppo verticale dell’opera, anche le tre età dell’uomo, rese nella minuziosa descrizione dei corpi e delle epidermidi: al muscoloso e atletico Enea si contrappongono il vecchio padre, magro e pieno di rughe, e il figlioletto paffuto. Anchise reca con sé l’immagine dei Penati, i protettori della casa e della famiglia, mentre Ascanio regge una lucerna con il fuoco di Vesta.
Come negli altri gruppi scultorei, anche in questo il Bernini aveva previsto un punto di vista privilegiato (frontale e a destra), come confermano le parti posteriori non finite. L’opera fu collocata inizialmente nella Sala III, per essere spostato a più riprese e infine essere definitivamente posto al centro della Sala VI.

Il video:

Ratto di Proserpina (Sala 4 della Galleria Borghese, sala degli Imperatori)

Gian Lorenzo Bernini, Ratto di Proserpina
Ratto di Proserpina

Il Ratto di Proserpina fu scolpito da Gian Lorenzo Bernini per Scipione Borghese fra il 1621 e il 1622: raffigura il dio degli inferi Plutone che rapisce Proserpina, figlia della dea Cerere, per trascinarla con sé nell’Ade. Come racconta Ovidio nelle sue Metamorfosi, Proserpina sta raccogliendo fiori sulle rive del lago di Pergusa nei pressi di Enna insieme alle compagne: attorno è “un’eterna primavera”. Vista da Plutone, che ne rimane invaghito, viene rapita mentre “atterrita chiama con voce triste le compagne e la madre, ma più la madre”. Il mito prosegue narrando di Cerere, che in preda al dolore rende sterile la terra e infine ottiene l’intercessione di Giove: Proserpina potrà trascorrere sei mesi con la madre – dalla primavera all’autunno – e sei mesi sottoterra, durante l’inverno, con lo sposo Plutone.

Ratto di Proserpina, particolare
Ratto di Proserpina, particolare

La scultura del Bernini rappresenta il momento culminante del rapimento, con Plutone accompagnato dal guardiano infernale Cerbero mentre afferra la disperata Proserpina. La giovane si divincola dalla stretta, talmente serrata che le mani del dio affondano nella sua morbida carne, spingendo via con il proprio braccio la testa del re degli inferi. I capelli di Proserpina e la barba di Plutone, così come il drappo che cinge la fanciulla, sono mossi dal vento nella concitazione del momento. Oltre che dalla presenza del guardiano degli inferi Cerbero, il cui pelame è reso con minuzia realistica, Plutone è connotato dalla corona e dal bidente – appoggiato a terra fra i suoi piedi.

La composizione del gruppo e l’avvitamento di Proserpina richiamano modelli di statuaria cinquecentesca e manierista, ma la forza che promana – nell’equilibrio fra la tensione dei muscoli e la morbidezza delle carni – e l’intensità dei sentimenti – di disperazione per Proserpina e soddisfazione per Plutone – esprimono un linguaggio nuovo e personale, che Bernini aveva elaborato grazie anche allo studio dell’arte classica: per esaltare gli stati d’animo lo scultore fece inoltre ricorso alla matita nera, al fine di accentuare lo sguardo dei due protagonisti.

Ratto di Proserpina, particolare
Ratto di Proserpina, particolare

La scultura, la seconda realizzata dal Bernini per Scipione Borghese dopo l’Enea, Anchise e Ascanio, era destinata alla villa sul Pincio. Con la morte di papa Paolo V e l’elezione al soglio pontificio di Gregorio XV Ludovisi, Scipione Borghese decise di farne dono diplomatico al nipote del nuovo papa, Ludovico Ludovisi, collezionista appassionato. La scultura fu dunque collocata a Villa Ludovisi fino alla demolizione ottocentesca del complesso: nel 1911 il capolavoro del Bernini venne acquistato dallo Stato italiano e collocato a Villa Borghese, il luogo per il quale era stata inizialmente commissionata. Oggi si ammira al centro della Galleria degli Imperatori, sopra un piedistallo non originale.

Il suo primo piedistallo – andato perduto – era ornato da un distico di Maffeo Barberini (autore dei versi che ancora oggi ornano il sostegno dell’Apollo e Dafne esposto a breve distanza). I versi recitavano: “Quisquis humi pronus flores legis, inspice saevi/ me Ditis ad Domum rapi”, ovvero “O tu che chino al suolo cogli fiori, guarda me che vengo rapita nel regno del crudele Dite”.

Il video:

Apollo e Dafne (Sala 3 della Galleria Borghese, sala di Apollo e Dafne)

Apollo e Dafne, particolare
Apollo e Dafne, particolare

Quando Gian Lorenzo Bernini cominciò a scolpire nel marmo di Carrara l’Apollo e Dafne aveva appena 24 anni: il gruppo, eseguito in un unico blocco, fu commissionato dal cardinale Scipione Borghese nel 1622 e venne portato a compimento nel 1625, dopo una pausa imposta dall’esecuzione di un’altra opera (il David).

Soggetto della scultura sono Apollo e Dafne, la cui storia fu narrata nelle Metamorfosi di Ovidio: Cupido, per vendicarsi dell’arroganza di Febo Apollo e dimostrargli la potenza delle proprie frecce, lo colpì con un dardo d’oro, che lo rese perdutamente innamorato della ninfa Dafne, figlia della divinità fluviale Peneo e seguace di Diana. Al contrario scoccò una freccia di piombo su Dafne, provocando in lei la repulsione per Apollo e il desiderio di sfuggire all’innamorato. Dopo un inseguimento estenuante, quando Febo stava ormai per raggiungerla, la ninfa pregò il padre di trasformarla in altre fattezze, quale estremo rimedio per sottrarsi all’impeto amoroso. Peneo accolse la sua preghiera e le concesse di tramutarsi in una pianta di alloro. Da questo momento l’alloro diventò la pianta cara ad Apollo, che con essa si cinse la testa, la faretra e la cetra, rendendola attributo dei poeti e dei vincitori.

Apollo e Dafne, particolare delle dita di Dafne che si tramutano in radici
Apollo e Dafne, particolare delle dita di Dafne che si tramutano in radici

Scrive Ovidio, descrivendo la metamorfosi di Dafne: “Ancora prega, che un torpore profondo pervade le sue membra, / il petto morbido si fascia di fibre sottili, / i capelli si allungano in fronde, le braccia in rami; / i piedi, così veloci un tempo, s’inchiodano in pigre radici, / il volto svanisce in una chioma: solo il suo splendore conserva”.

E prosegue: “Anche così Febo l’ama e, poggiata la mano sul tronco, / sente ancora trepidare il petto sotto quella nuova corteccia / e, stringendo fra le braccia i suoi rami come un corpo, / ne bacia il legno, ma quello ai suoi baci ancora si sottrae”.

Bernini rappresenta dunque il momento in cui Apollo riesce – al termine dell’inseguimento, con un piede ancora sollevato nello slancio e l’altro quasi al fianco della ninfa – a raggiungere Dafne, abbracciandone la vita che però si è già trasformata in tronco. La fanciulla è ancora protesa in avanti, verso la fuga, e al contempo i suoi piedi si tramutano in radici, ancorandola al terreno. Le braccia sollevate e i capelli mossi dal vento assumono l’aspetto di rami dalle foglie di alloro e il suo volto esprime il trasalimento della corsa e, al contempo, quello della sua metamorfosi. Una medesima emozione traspare dal viso di Apollo, conteso tra l’eccitazione della conquista e la constatazione della perdita dell’amata.

Apollo e Dafne, particolare
Apollo e Dafne, particolare

Per la sua capacità di esprimere, quasi teatralmente, il momento fatale della metamorfosi, l’opera del Bernini fu da subito riconosciuta e celebrata quale capolavoro: su indicazione dello stesso Gian Lorenzo venne collocata nella sala III di Villa Borghese in modo da presentare solo il fianco destro, collocata su un basamento più basso rispetto all’attuale per implementare l’effetto scenografico e suscitare il coinvolgimento empatico dello spettatore.

Il cartiglio scolpito sul basamento in forma di pelle di drago riporta un ammaestramento morale in distici composti dal cardinale Maffeo Barberini, per giustificare la scelta di un soggetto così pagano: “Quisquis amans sequitur fugitivae gaudia formae/ formae manus implet baccas seu carpita amaras” ovvero “Chiunque ami, insegue le gioie effimere della bellezza / Colma le mani della sua fronda o raccoglie frutti amari”.

In occasione del rifacimento settecentesco della Galleria, con il riordino delle collezioni e la nuova decorazione delle sale, il gruppo del Bernini venne spostato al centro dell’ambiente, posto su un piedistallo più alto. Fu decorata anche la volta con, al centro, la rappresentazione di alcuni momenti del racconto delle Metamorfosi e l’allegoria delle Quattro Stagioni.

Il video:

David (Sala 2 della Galleria Borghese, sala del David)

David, particolare
David, particolare

Il David di Gian Lorenzo Bernini fu scolpito fra 1623 e 1624 su commissione del cardinale Alessandro Montalto, destinato ad ornare i giardini della famiglia sul colle Esquilino (andati distrutti al tempo della costruzione della Stazione Termini).

La morte improvvisa del Montalto portò Scipione Borghese a rilevare la commissione dell’opera, l’unica di soggetto biblico fra quelle realizzate dal Bernini per la sua collezione. Pensato per ornare il centro di una fontana fu invece destinato alla Galleria Borghese, troppo prezioso per essere abbandonato alle intemperie. La scultura venne terminata dal giovane (all’epoca venticinquenne) in soli sette mesi, interrompendo la realizzazione dell’Apollo e Dafne.

David, particolare
David, particolare

La scultura – nei cui tratti, secondo le fonti, andrebbe ravvisato l’autoritratto del Bernini – raffigura David nell’atto di scagliare la pietra che colpirà a morte Golia. Il pastore era stato chiamato da Saul, re degli Israeliti, per battere il capo dell’esercito dei Filistei. Ai piedi del giovane si osservano la corazza donatagli dal re Saul – non indossata perché troppo ingombrante – e la cetra – con cui David vincitore intonerà un Salmo di ringraziamento a Dio – terminante con la testa d’aquila, simbolo araldico del cardinale Borghese.

Fu il Bernini a scegliere la collocazione della sua opera, addossata a una delle pareti della Stanza del Seneca (attuale Sala I), affinché i visitatori appena entrati apprezzassero la torsione del corpo e la tensione della fionda: tale scelta – che privilegiava l’unico punto di vista frontale, finalizzato all’identificazione del visitatore con Golia – è confermata dall’incompiutezza della zona posteriore (tra i dettagli incompleti il tallone sinistro del David, integrato in epoca moderna). In seguito al riallestimento settecentesco il David fu spostato più volte, fino a trovare collocazione definitiva nella Sala del Sole (attuale Sala II), posto al centro su un piedistallo più grande dell’originale.

Gian Lorenzo Barnini, David
David

Tra le tele alle pareti della Sala del Sole si osservano “David con la testa di Golia” di Battistello Caracciolo, “Sansone incatenato” di Annibale Carracci e “Andromeda” di Rutilio Manetti, oltre a sculture antiche fra le quali un grande sarcofago a colonne con le Fatiche di Ercole del 160 d.C..

Oltre ai quattro gruppi scultorei, la Galleria Borghese custodisce due Busti di Scipione Borghese (Sala 14, Loggia di Lanfranco), risalenti entrambi al 1632, la cui realizzazione contribuì a creare il mito dell’abilità prodigiosa e del virtuosismo del Bernini. Il primo ritratto raffigura il cardinale con la testa leggermente rivolta a sinistra e la bocca socchiusa, come se fosse stato improvvisamente interrotto durante una conversazione: straordinario nella fedele resa psicologica di uno stato d’animo, colto nella sua transitorietà. A busto ultimato, Bernini si accorse di un difetto del blocco di marmo, tale da determinare una crepa nella fronte. Decise quindi di realizzare in tempi record (quindici notti, addirittura tre giorni secondo il figlio Domenico) una replica senza alcun difetto. Si racconta che Scipione Borghese rimase turbato alla vista del primo busto e poi sorpreso dalla replica, finendo poi per preferire e collocare in una posizione di maggior prestigio il primo ritratto.

Gian Lorenzo Bernini, La Verità
La Verità

Vi sono poi La capra Amaltea con Giove Bambino e un faunetto (Sala 14, Loggia di Lanfranco), attribuita a Bernini e già presente nella collezione Borghese dal 1615, e La Verità (Sala 6, sala di Enea e Anchise) – realizzata dal Bernini tra il 1646 e il 1652 in un momento di difficoltà personale e professionale – parte di un gruppo più ampio che non fu mai portato a compimento.
Si ammirano infine alcuni autoritratti dipinti, il bozzetto della Statua equestre di Luigi XIV e il busto di papa Paolo V (entrambi nella Sala 14, Loggia di Lanfranco).

Informazioni utili: prima di visitare la Galleria Borghese suggerisco di consultarne il sito internet per verificarne orari di apertura e modalità di accesso, galleriaborghese.beniculturali.it. Fra il 2017 e il 2018 la Galleria ospitò una mostra dedicata a Gian Lorenzo Bernini (sulla quale redassi un articolo), per celebrare i vent’anni della riapertura e l’esposizione inaugurata all’epoca dedicata al “Bernini scultore”.

Gian Lorenzo Bernini, i due busti raffiguranti Scipione Borghese, a sinistra il primo realizzato, con la crepa lungo la fronte, a destra la replica senza difetto
I due busti raffiguranti Scipione Borghese, a sinistra il primo realizzato, con la crepa lungo la fronte, a destra la replica senza difetto

L’ingegno e la creatività del Bernini si sono dispiegati, nel corso della sua lunghissima carriera, in molti luoghi di Roma, che tento qui di rammentare assai sommariamente. Fra le piazze, oltre a piazza San Pietro col suo celeberrimo colonnato, ricordo piazza Navona con la fontana dei Quattro Fiumi, piazza Barberini con la fontana del Tritone (ne parlo nell’articolo dedicato alle fontane della città), piazza Santa Maria Sopra Minerva con l’Elefante obeliscofero (qui si trova anche il suo Cenotafio di suor Maria Raggi). Fra le chiese, dopo ovviamente San Pietro di cui fu nominato architetto nel 1629, rammento Santa Maria della Vittoria (dove si trova l’Estasi di santa Teresa), San Francesco a Ripa con l’Estasi della beata Ludovica Albertoni (vi accenno nell’articolo sulle chiese di Trastevere), Sant’Andrea al Quirinale con la cupola definita “perla del barocco”, San Pietro in Montorio, San Lorenzo in Lucina, Santa Maria in Popolo, Santa Bibiana. Nella chiesa di Sant’Andrea alle Fratte si ammirano i due Angeli realizzati dal Bernini per ornare il ponte di Castel Sant’Angelo: ritenuti troppo belli per essere lasciati all’esterno, furono riparati qui nel 1729, mentre sul ponte si ammirano delle copie.

Altre immagini delle opere di Gian Lorenzo Bernini alla Galleria Borghese:

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